CONFERENZA-PRESENTAZIONE LIBRO: Vetralla 8 dicembre

VETRALLA PRESENTAZIONE LIBRO “Olio e produzione Olearia in Roma antica”

Il giorno 8 dicembre presenterò il libro appena pubblicato “Olio e produzione olearia in Roma antica“.

DOVE

VETRALLA (Viterbo), in occasione della Festa dell’Olio

Sala Consiliare del Comune, Piazza Umberto I

QUANDO

8 dicembre 2016

ORE

Ore 15.30

ingresso libero

Manifestazione nell’ambito delle iniziative del Circolo dei Lettori Biblioteca Comunale “A. Pistella” di Vetralla.

LA CONFERENZA

Argomento della conferenza:

Dai resti dei torchi oleari del III secolo a.C. allo studio del DNA degli olivi: nuove prospettive per la ricerca archeologica.

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Verranno esaminati i resti antichi di quelle forme di sfruttamento della terra che si instaurano molto precocemente, fin dal III secolo a.C., quando l’uomo romano, conquistata l’Etruria, destina i terreni all’attività agricola, sfruttando il territorio attraverso la realizzazione di numerose strutture agrarie. Strutture agrarie che sono realtà architettoniche costituite da insediamenti rurali autonomi, sotto il profilo della produzione agricola, e che sono chiamate comunemente da Livio con il termine di “ville”.

La lente di ingrandimento si soffermerà soprattutto su una delle attività più frequentemente attestate in questi insediamenti: l’attività di produzione olearia.

Un fenomeno che possiamo agevolmente ricostruire grazie alla presenza ancora oggi nelle nostre campagne di numerose pietre che fungevano da basi delle presse olearie, e da un altro elemento che ho documentato nel libro: la presenza diffusa di olivi non domestici che ancora oggi popolano quelle campagne.

Da attento osservatore del territorio infatti mi sono posto una domanda: è possibile che tali olivi, attualmente allo stato selvatico, possano derivare dalle antiche colture praticate prima dagli Etruschi e poi dai Romani?

A dare una risposta a questa domanda sarà la scienza biologica e paleobotanica: nella conferenza si parlerà anche di questa indagine, affascinante e straordinariamente coinvolgente!

Vi aspetto!

La Sala Consiliare si trova all’interno dell’edificio sulla destra dell’immagine:

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SANTA MARINELLA E LE SUE ANTICHE VILLE ROMANE-Conferenza

Parlerò dei miei studi relativi alle antiche ville romane del territorio di Santa Marinella (Roma):

“SANTA MARINELLA E LE SUE ANTICHE VILLE ROMANE”

QUANDO: 26 agosto

DOVE: Santa Marinella, Biblioteca Comunale Via Aurelia 310

ORE: 21.00

INGRESSO LIBERO

“Fin dalla fine del IV secolo a.C., il territorio dell’Arco del fiume Mignone è stato oggetto di un profondo cambiamento, che vedremo essere capillare. Un fenomeno che ha interessato un vasto comprensorio delineato a Nord dal corso del fiume Mignone e ad Est dai Monti della Tolfa, comprendente attualmente il territorio amministrativo del comune di Civitavecchia, in parte quello dei comuni di Allumiere, Tolfa, S. Marinella, Tarquinia. La romanizzazione del territorio si ha con uno stravolgimento del paesaggio “culturale” precedente, risalente alla fase d’Epoca Etrusca; uno stravolgimento che si attua con la realizzazione di opere di disboscamento, di terrazzamento, di drenaggio, di piantumazione di alberi, di messa a coltura di terreni incolti, di realizzazione di strade. Ancora attualmente se volgiamo lo sguardo a quella porzione del mondo italico ci renderemmo conto del dato incontrovertibile, visibile ad occhio nudo, di estese suddivisioni dei terreni, della cui funzione attualmente, nel mondo moderno si è perso completamente il ricordo; si tratta di un panorama fossilizzato che risale, nel suo impianto primitivo, ad epoca romana. Un panorama che, grazie ad una attenta lettura, ci svela l’imprescindibile connessione tra organizzazione produttiva e i paesaggi agrari”.

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serata organizzata dall’associazione ArcheoEtruria 

LE OLIVE NELLA TAVOLA DELL’ANTICA ROMA

L’olio diveniva rancido molto rapidamente; l’unica soluzione era dunque salarlo.

Per questo motivo si consigliava anche di conservare il più a lungo possibile le olive, in maniera da poter fare, sul momento, olio fresco da offrire nelle oliere ai convitati in ogni periodo dell’anno. Si rendeva quindi necessario cogliere le olive quando erano ancora verdi sull’albero e riporle sottolio.

In epoca imperiale le olive si servivano in tutte le cene, anche in quelle più importanti: come diceva Marziale, esse costituivano sia l’inizio che la fine del pasto, venivano cioè, sia portate come antipasti, sia offerte quando, finito di mangiare, ci si intratteneva a bere.

Solitamente erano conservate in salamoia, ben coperte dal liquido, fino al momento di usarle, poi si scolavano e si snocciolavano tritandole con vari aromi e miele.

Le olive bianche venivano anche marinate in aceto e, condite in questo modo, erano pronte alluso. Inoltre, con le olive più pregiate e più grosse, si facevano ottime conserve che duravano tutto l’anno e fornivano un nutriente ed economico companatico.

Con le olive verdi si facevano le colymbadas (letteralmente “le affiorate”), così dette perché galleggiavano in un liquido fatto di una parte di salamoia satura e due parti di aceto. La preparazione consisteva nel praticare alle olive, dopo la salagione, due o tre incisioni con un pezzo di canna, e quindi tenerle immerse per tre giorni in aceto; poi le olive venivano scolate e sistemate con prezzemolo e ruta, in vasi da conserve che erano poi riempiti con salamoia e aceto facendo in modo che restassero ben coperte. Dopo venti giorni erano pronte per essere portate in tavola.

Un altro tipo di conserva era l’epityrum che si faceva sempre con le olive migliori, di solito le orcite e le pausiane: era una salsa molto saporita che si otteneva da frutti colti quando cominciavano appena ad ingiallire, scartando quelli con qualche difetto. Dopo aver fatto asciugare le olive sulle stuoie per un giorno, si mettevano in un fiscolo nuovo, cioè in una di quelle ceste di fibra vegetale fatte a forma di tasca, con un foro superiore e uno inferiore, in cui si racchiudevano le olive frantumate per poi spremere l’olio; quindi si lasciavano una notte intera sotto la pressa. Dopo di che venivano sminuzzate e condite con sale e aromi e, dopo aver messo l’impasto così ottenuto in un vaso lo ricopriva d’olio.

Vi erano poi le conserve di olive nere, che si potevano fare sia con le pausiane mature che con le orcite ed in alcuni casi anche con le olive della qualità Nevia: la preparazione consisteva nel tenerle per 30-40 giorni sotto sale, poi, una volta scosso via tutto il sale, metterle sotto sapa defrutum.

Altre volte, più semplicemente, si mettevano le olive sotto sale con bacche di lentisco e con semi di finocchio selvatico.

Catone, Plinio e Columella e tutti gli scrittore latini di agricoltura più famosi hanno lasciato insegnamenti sulla coltivazione dell’olivo e sulla produzione dell’olio.

fonte articolo

OLIO DI OLIVA BENE DI LUSSO

Dopo una prima fase in cui i contenitori di olio deposti nelle tombe principesche del Lazio e dell’Etruria risultano essere in massima parte di importazione, nel corso del terzo quarto del VII secolo a.C. inizia una produzione locale di questi vasi, destinata nel tempo ad intensificarsi: si tratta non solo di contenitori di essenze odorose a base di olio, ma anche di recipienti destinati a contenere olio alimentare.

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E’ il momento in cui l’olio e il vino da beni preziosi di marca esotica, inclusi nel commercio di beni di lusso, diventano in Etruria prodotti di largo uso come attestano appunto i loro contenitori che diventano frequentissimi nei corredi tombali in età alto e medio-arcaica: particolarmente diffusi sono i piccoli balsamari in bucchero e in ceramica figulina, che imitano gli aryballoy e gli alabastra corinzi di importazione.

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LA RACCOLTA DELLE OLIVE NELL’ANTICHITA’

Le olive venivano raccolte, a seconda dell’uso cui erano destinate, in periodi diversi:

ancora acerbe (olive albae o acerbae)

non del tutto mature (olive variae o fuscae)

mature (olive nigrae).

Si raccomandava di staccarle dal ramo con le mani ad una ad una; quelle che non si potevano cogliere salendo sugli alberi, venivano fatte cadere servendosi di lunghi bastoni flessibili (in greco ractriai), sempre ponendo la massima attenzione a non danneggiarle. Alcuni aiutanti raccoglievano e riunivano le olive battute che, solitamente venivano macinate il più presto possibile.

 

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In Italia la presenza di noccioli di oliva in contesti archeologici è documentata fino al Mesolitico.

Secondo recenti studi c’è qualche perplessità sulle teorie che sostengono che l’olivo sia stato introdotto in Italia dai primi coloni greci; pur senza dimenticare che dal greco derivano sia la parola olivo (elaìa), sia il termine etrusco amurca che, nella sua forma greca amòrghe, indica quel liquido amaro ottenuto dalla prima spremitura delle olive, che veniva scartato ed utilizzato come concime, nella concia delle pelli e nell’essiccazione del legno.

Il vero problema, dunque, non è stabilire a quando risalga la presenza dei primi olivi in Italia, dato che certamente si trattava di piante che esistevano da molto tempo, almeno in forme selvatiche, quanto piuttosto definire il periodo in cui è cominciata la loro coltivazione in età storica, momento importante che segna l’inizio dello sfruttamento razionale delle campagne, tipico della civiltà urbana.

Le evidenze linguistiche, letterarie ed archeologiche permettono di affermare che già tra l’VIII e il VII secolo a.C. non solo la coltivazione dell’olivo era praticata, ma esistevano colture organizzate che, grazie al clima mediterraneo, ben presto permisero la formazione di un surplus destinato agli scambi.

Per quanto riguarda l’età storica esistono anche evidenze paleobotaniche: sono da ricordare il relitto della nave del Giglio, del 600 a.C. circa, con le sue anfore etrusche piene di olive conservate e la cosiddetta “Tomba delle Olive” di Cerveteri, databile al 575-550 a.C., contenente, oltre ad un servizio di vasi bronzei per il banchetto, anche una sorta di caldaia piena di noccioli di olive.

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ARCHEOLOGIA DEL PAESAGGIO E OLIO DI OLIVA

L’archeologia del paesaggio si interessa della relazione che intercorre tra gli esseri umani e la terra, nell’antichità.

È uno studio che, per necessità, è eclettico, multidisciplinare, che abbraccia una serie di tecniche, alcune specificatamente archeologiche, ed altre prese a prestito o derivate dalla geografia fisica ed umana, e dalle scienze naturali: fotografia aerea/da satellite, indagini topografiche, geomorfologia e ricostruzione del paesaggio, scavo archeologico, analisi dei dati provenienti dallo scavo e analisi dei dati biologici quali ossa animali, resti di piante e relitti di piante ancora in situ.

 

In questo modo fare archeologia del paesaggio può fornire informazioni fondamentali sull’agricoltura del mondo antico etrusco e romano e sui rapporti intercorrenti tra i cambiamenti dei sistemi di coltivazione e l’emergere del sistema politico etrusco e poi di quello Romano.

I dati paleo-economici (ossa animali, resti vegetali e relitti ancora esistenti di piante antiche) hanno il vantaggio, rispetto a molte altre categorie di dati archeologici, di essere presenti sempre, senza dover far ricorso a scavi di indagine archeologica.

L’organizzazione agricola fornisce una pietra di paragone, con la quale misurare le variazioni dei sistemi socioeconomici nell’ambito della documentazione archeologica.

Studiare l’interazione tra le soluzioni locali ed il più vasto reticolato dei limiti sociali ed economici che le hanno strutturate.

Per quanto attiene alla coltivazione dell’olivo e della vite da parte degli Etruschi, l’evidenza archeobotanica coincide con l’evidenza dei documenti e dei manufatti: vasi per olio profumato furono fabbricati verso la fine del VII secolo a.C.; la tradizione storica situa inoltre l’inizio della coltivazione dell’olivo e della vite intorno a Roma in questa epoca.

Per tradizione si afferma che la coltivazione dell’olivo e della vite sarebbe stata introdotta presso gli Etruschi dai Greci, ma questa spiegazione è semplicistica. Olivo e vite erano quasi certamente piante indigene in Italia come in Grecia, ma la scala temporale della loro coltivazione fu notevolmente differente.

La coltivazione dell’olivo e della vite cominciò ad essere praticata in Italia su scala sistematica solo con l’emergenza del sistema statale etrusco, tra il IX e il VII secolo a.C., quindi più tardi rispetto Grecia e Spagna in cui è attestata questa pratica colturale mista già dal III millennio a.C.

Benché la scala temporale fosse completamente differente, la policoltura sistematica, che implicava l’olivo e la vite, coincise in ogni caso con enormi trasformazioni della società, ed in particolare con il momento in cui i sistemi agricoli riuscirono a superare lo stadio della sola autosufficienza e sussistenza, e quando la società si trasformò.

In Etruria, come ovunque, i nuovi raccolti sostennero popolazioni più numerose, e portarono ad un uso più intensivo del paesaggio; ma essi divennero importanti nell’ambito di una trasformazione culturale diffusa, e nell’ambito dello sviluppo di una élite, che rese il loro sfruttamento realizzabile, necessario e auspicabile.

In Grecia, per esempio, l’evidenza delle tavolette in lineare B indica che la nascita del sistema palaziale probabilmente corrispose ad una caduta nella qualità della dieta per la maggior parte degli agricoltori egei, contrassegnata dalla diminuzione della carne e dell’aumento del pane e dell’olio.

L’archeologia dell’agricoltura etrusca e romana ci racconta quindi che l’intensificarsi dell’agricoltura, insieme con la prima coltivazione sistematica dell’olivo e della vite, e con la trasformazione dei sistemi di allevamento, fu una componente critica della formazione e del mantenimento delle città stato etrusche.

L’archeologia del paesaggio è efficace e importante per studiare l’ordinario ed il quotidiano, l’archeologia delle persone.

 

Bibliografia

Graeme Barker, Archeologia del paesaggio, 17-32, in Alimentazione nel mondo antico, ed. Poligrafico Zecca dello Stato.